VIOLENZA IN FAMIGLIA: COME AFFRONTARLA

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VIOLENZA IN FAMIGLIA: COME AFFRONTARLA

VIOLENZA IN FAMIGLIA: COME AFFRONTARLA

(un articolo tra il penale e il civile scritto da un avvocato mezzosangue) di Avv. Ilaria Brunelli

In questo articolo parleremo di:

  • QUANDO LA VIOLENZA IN FAMIGLIA E’ INVENTATA O ENFATIZZATA
  • QUANDO LA VIOLENZA IN FAMIGLIA C’E’ E NON E’ DENUNCIATA
  • STRADA PENALE E STRADA CIVILE PER AFFRONTARE LA VIOLENZA IN FAMIGLIA: AMBITI DI APPLICAZIONE E DIFFERENZE

Nell’immaginario collettivo (dei più fortunati di noi) la famiglia è il primo rifugio da ogni tipo di violenza esterna.  Sfortunatamente non è sempre così.

Nella crisi familiare spesso la violenza si manifesta nei confronti del coniuge o compagno/a di vita anche davanti ai figli, che purtroppo assistono; nei peggiori dei casi la violenza si rivolge anche ai figli, soprattutto minori, in modo diretto o in modo indiretto, come nel caso in cui si denigra l’altro genitore alla ricerca di una anche effimera complicità, volta ad ottenere la collocazione prevalente o paritaria dei figli (soprattutto i più grandicelli) o comunque per ottenere un trattamento economico più favorevole nei confronti dell’altro genitore.

E così accadono strane vicende: padri assenti che lottano per ottenere la collocazione prevalente dei figli (molto poco accuditi nella precedente vita familiare) mirando più o meno consapevolmente alla casa e a non dover versare un assegno di mantenimento; in questo contesti, se il padre è benestante, compariranno macchinette, motorini, viaggi d’istruzione, parrucchieri e negozi di vestiti, esose attività sportive e scuole private a rendere la scelta della collocazione più appetibile, mentre in caso di penuria di mezzi economici si ricorrerà al generico attacco sessista nei confronti di “quella puttana di tua madre che mi ha lasciato per un altro” o che “sta a casa tutto il giorno senza fare niente mentre io mi spacco la schiena a lavorare”; compariranno anche madri troppo presenti che screditano agli occhi dei figli i padri, dipingendoli come menefreghisti egoisti, traditori ed assenti al solo scopo di assicurarsi casa e assegno familiare, perlopiù utilizzando il diritto di visita come strumento “esecutivo” per ottenere il pagamento dell’assegno di mantenimento. Queste madri saranno occupatissime a creare intralci agli incontri con i figli e talvolta saranno così occupate da non riuscire a trovare una qualsiasi occupazione lavorativa che consenta loro di contribuire al mantenimento dei figli e anche di sé stesse; i ruoli potranno anche facilmente invertirsi, perché ciò che li caratterizza è l’abuso di posizione dominante, che sia economico o affettivo non importa. Sono tutte armi affilate, e nella crisi familiare si usano tutte le armi a disposizione.

Analizziamo per punti l’argomento.

QUANDO LA VIOLENZA è INVENTATA O ENFATIZZATA

In questo contesto potranno sbocciare denunce penali per maltrattamenti, diffamazioni, lesioni, minacce, sottrazione dei minori, inottemperanza agli ordini del giudice, omesso mantenimento della famiglia, addirittura violenze sessuali ed abusi su minori.

Non sempre chi si trova all’interno di questo dinamica drammatica si accorge della violenza che pervade l’ambiente familiare e alle volte si ricorrerà a fantomatiche denunce “preventive” o “controquerele” che in termini giuridici sono dei veri abomini.

L’abuso dello strumento penale è deleterio per tutti: ci si trova spesso, una volta raggiunto l’accordo economico, o recuperato il proprio equilibrio magari grazie ad altro/a partner, a cercare di ritirare denunce-querele irrimettibili, poiché presentate per condotte configurabili reati procedibili d’ufficio per i quali quindi si procederà comunque in aula per accertarne la veridicità.

Questi i casi in cui la violenza compare strumentalmente all’interno della famiglia al momento della crisi. Spetterebbe anche a noi avvocati cercare di effettuare un primo filtro di queste pretestuose denunce, ma a volte non è né facile né conveniente farlo (ma questo argomento meriterebbe tutto un altro articolo).

QUANDO LA VIOLENZA C’E’ E NON E’ DENUNCIATA

In molti altri casi, invece, la violenza, già presente nella famiglia, non viene denunciata per consentire alla famiglia di conservare la sua “unità”.

In nome della famiglia talvolta vengono tollerate violenze fisiche nei confronti della parte più debole e dei figli (che sono spesso le parti più deboli), o minimizzate violenze psicologiche che assumono i contorni di veri e propri maltrattamenti.

Recentemente e forse anche a causa della crisi economica e della disoccupazione giovanile, si assiste a violenza perpetrata dai figli maggiorenni a danno dei genitori, spesso madri separate, divorziate o vedove, che non denunciano penalmente i propri figli sino a che non sono portate all’esasperazione o all’esaurimento delle proprie risorse economiche.

“NON POSSO DENUNCIARE MIO FIGLIO”

Ritengo che in questi casi sia inutile nascondersi dietro l’unità familiare perché l’unico aspetto nel quale una famiglia violenta è unita è quello dell’omertà dei suoi componenti.

In questo caso il componente che causa la violenza, chiunque esso sia, va allontanato.

Non a caso l’allontanamento dalla casa familiare (e dai luoghi frequentati dai membri della famiglia vittime di violenza), primo e fondamentale passo per la cessazione della violenza, è un provvedimento previsto sia in sede civile sia in sede penale:

IN SEDE CIVILE:

  • si può chiedere al giudice che ex art. 342 ter ordini al coniuge o convivente o figlio, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e che disponga il suo allontanamento dalla casa familiare prescrivendogli altre sì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. Il presupposto di legge ex art. 342 bis è che “la condotta del coniuge o di altro convivente sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”.
  • Non basta quindi che vi sia un pericolo o un pregiudizio economico, ma deve essersi realizzata una condotta gravemente lesiva. Comportamenti maleducati o distaccati non sono considerati dalla giurisprudenza sufficienti per richiedere il provvedimento. Non è però richiesto che la condotta sia abituale, bastano anche alcuni episodi occasionali, purché connotati da gravità.
  • Il provvedimento civile ha durata massima di un anno e può essere prorogato per brevi periodi solo per gravi ragioni.
  • In questi casi, se il coniuge violento è l’unica fonte di reddito della famiglia, può essere previsto a suo carico un assegno provvisorio di mantenimento a favore dei componenti il nucleo familiare. 

IN SEDE PENALE ex art. 282 bis e 282 ter cpp il Giudice può:

  • prescrivere su richiesta del PM all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita;
  • qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
  • L’ordine è strettamente limitato ai componenti della famiglia nucleare, con esclusione quindi dei nuovi compagni dei genitori (Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|23 giugno 2014| n. 27177) e può essere disposto anche se risulta che sia cessata la coabitazione (cfr. Cassazione Sezione 6|Penale|Sentenza|29 aprile 2016| n. 17950) anche per evitare che si verifichino “appostamenti” o episodi di violenza in occasione ad . es. delle visite ai figli.
  • può altre sì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo, cessa in caso di separazione ove sopraggiungano i provvedimenti Presidenziali che regolano in via provvisoria i rapporti tra i coniugi.
  • Il “Codice Rosso” Legge 19 luglio 2019 n. 69, ha introdotto l’autonoma ipotesi di reato di cui all’art. 387 bis che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi l’obbligo di allontanamento dalla casa coniugale. Si tratta della previsione di un reato specifico, con pena più elevata di quella prevista in caso della comune inottemperanza agli ordini dell’autorità giudiziaria (punito alternativamente con reclusione sino a tre anni o multa) che il legislatore ha introdotto, forse un po’ timidamente, per scoraggiare l’inosservanza dell’obbligo.

STRADA PENALE E STRADA CIVILE: AMBITI DI APPLICAZIONE E DIFFERENZE

Gli strumenti che il nostro sistema mette a disposizione delle vittime della violenza in famiglia non sono alternativi:

La misura civile, infatti, può essere richiesta anche quando la condotta è suscettibile di integrare un reato penale procedibile d’ufficio.

Siccome solitamente i tempi della giustizia civile sono più lenti e richiedono in ogni caso un’attività istruttoria nel contraddittorio delle parti (fosse anche solo l’audizione dei figli) lo strumento potrebbe essere utilizzato nel caso in cui fosse già in piedi un giudizio civile e la condotta pregiudizievole, di disvalore e pericolosità non estrema, fosse stata già oggetto di prova o sia in procinto di essere dimostrata a mezzo testimoni.

Va pure detto che, trattandosi di lesione all’integrità psico-fisica la condotta potrebbe anche estrinsecarsi in un’attività lesiva del decoro della persona, come nel caso del revenge porn, o degli attacchi o insulti su facebook, attività che può essere facilmente documentata al Giudice.

La misura penale presuppone invece che sia stata sporta una denuncia querela e l’avvio di un procedimento in corso, perciò è una soluzione che va valutata quando si tratti di un comportamento determinato da contingenti situazioni, magari legate allo stato di salute, e non si voglia ottenere la penale punizione del soggetto violento per quanto accaduto.

D’altro canto va detto, a vantaggio dello strumento penale, che al PM basta la denuncia della parte offesa con elementi che ne confermino l’attendibilità (poiché le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole addirittura a fondamento dell’affermazione di responsabilità previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità estrinseca del suo racconto, cfr. Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104) per disporre la misura a tutela della famiglia in tempi anche molto rapidi, tali da scongiurare il pericolo di ulteriori pregiudizi.

Si tratta quindi di soluzioni diverse su situazioni parzialmente coincidenti, la scelta da prendere su quale attuare non va fatta in modo affrettato, ma deve essere il frutto di una attenta valutazione con il vostro legale di fiducia

Roma, 21.06.2020

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